Tumore maligno dell’ano

Rappresentano solo il 3%-4% di tutti i tumori del grosso intestino. Oltre il 60% sono a cellule di tipo squamoso ed il 20%-30% sono a cellule basali. I carcinomi squamosi originano dalla cute perianale, quelli basaloidi dalla zona transizionale del canale anale. C’e una alta incidenza tra gli omosessuali e diversi casi complicano preesistenti condilomi acuminati.
I pazienti possono essere suddivisi in quelli con carcinoma del canale anale e quelli con tumore del margine anale.
Il primo tipo è più comune nelle donne. I sintomi possono consistere in una sensazione di tumefazione ingombrante il canale anale, dolore, cattivo odore, sanguinamento, difficoltà nella defecazione, feci sottili. Il tumore a cellule squamose del margine anale, più comune negli uomini, ha l’aspetto di un carcinoma epidermoidale della cute.
Il primo tipo può essere trattato radicalmente con una ampia escissione chirurgica locale, il carcinoma epidermoidale risponde egualmente bene alla escissione locale e alla radioterapia.
In caso di tumori più avanzati, con metastasi già presenti ai linfonodi inguinali e/o penetrazione degli sfinteri e invasione della fossa ischiorettale e del pavimento pelvico hanno un prospetto di cura radicale nettamente inferiore (10% di sopravvivenza a 5 anni). Tuttavia i casi che sviluppano metastsi dopo un primo trattamento presentano margini più ampi di sopravvivenza con un adeguato trattamento
( 30%-40% di sopravvivenza a 5 anni dopo asportazione chirurgica e/o radioterapia).

Marische


Le marische sono molto comuni e di solito non hanno un significato patologico.
Si tratta di tessuto cutaneo perianale ridondante o borse cutanee come bene espresso dalla terminologia anglosassone nella cui lingua vengono definite proprio come skins tags.
Spesso si trovano in associazione con le emorroidi quando queste tendono a prolassare . Accompagnano anche le ragadi anali e possono essere un segno esteriore di m. di Crohn intestinale , nella quale assumono forma e dimensioni assai evidenti, soprattutto se sono anche edematose.
Di solito le marische sono asintomatiche e rappresentano solo un inestetismo , se così si può dire, ma spesso i pazienti le trovano insopportabili ed effettivamente possono provocare disagio perchè rendono difficile la pulizia della zona e favoriscono il prurito.
La diagnosi è facile, ma non vanno confuse con condilomi o carcinomi anali. In caso di dubbio vanno rimosse e esaminate istologicamente.
Quando asintomatiche non richiedono trattamento.

Neoplasie del colon retto

Il carcinoma del grosso intestino è il secondo tumore maligno più diffuso nei paesi industrializzati dopo il cancro del polmone nell’uomo, dopo un testa a testa col cancro gastrico, e il cancro della mammella nella donna. Ciò è dovuto alla forte incidenza di fattori ambientali con una alimentazione caratterizzata da un eccessivo consumo di grassi (burro, latte, latticini e uova) e di proteine animali (carni rosse), alimenti se di per con alto potenziale di fattori carcinogenetici, e una dieta ipercalorica ricca di carboidrati che ,attraverso una fermentazione batterica abnorme, determinano una alterazione della composizione degli acidi biliari nelle feci con la loro trasformazione in fattori co-carcinogeni dopo la loro. La stessa riduzione del carico di fibre nella alimentazione è un fattore di rischio aumentando il tempo di contatto fra i fattori potenzialmente carcinogenetici e la mucosa dell’intestino. Se i fattori ambientali/alimentari sono importanti, nella patogenesi di un cancro del colo e del retto preponderante è il fattore genetico: sono ben note poliposi a trasmissione genetica cone la FAP (Poliposi familiare diffusa, la sindrone di Gardner, la sindrome di Turcot, la sindrome di Linch). Queste sindromi sono in verità responsabili solo di una minima parte dei tumori del coloretto (< 2%), ma sono importanti perchè hanno permesso importanti progressi nello studio di questi tumori , fino al punto fermo attuale che alla base dei tumori colorettali esiste sempre una mutazione genetica , sia essa ereditaria o acquisita. Altri importanti co-fattori sono l’età, la familiarità e le preesistenti malattie infiammatorie come la RCU e la m. di Crohn. Di fondamentale importanza il rapporto polipo – tumore maligno. La presenza di polipi nel colon retto, anche sporadici, deve avviare una bonifica immediata ed una sorveglianza continuata nel tempo perchè non esiste dubbio che la formazione di un carcinoma del colon retto passa attraverso la evoluzione e la trasformazione di un precedente polipo. Proprio tenendo conto di tutti questi fattori si imposta la prevenzione del tumore, oggi ottenibile attraverso screening di massa (test del sangue occulto nelle feci) o indagini endoscopiche in gruppi selezionati proprio in base all’età, alla familiarità, alla presenza di malattie infiammatorie, alla presenza di sintomi sospetti (primo di tutti la presenza di sangue nelle feci).

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Retto-colite ulcerosa

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Malattie infiammatorie croniche intestinali non infettive (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa)

Le  malattie infiammatorie intestinali, la cui causa è tuttora sconosciuta nonostante i numerosi studi in corso da anni, sono più diffuse nei paesi anglosassoni e nordici in generale dove sono molto meno presenti le infiammazioni intestinali dovute ad agenti infettivi quali bacilli della dissenteria o amebe più presenti nell’area mediterranea, ma anche in Italia , paese ormai pienamente assimilabile all’area occidentale industrializzata, hanno una frequenza notevole. I sintomi più frequenti delle malattie infiammatorie intestinali in generale sono dati da scariche diarroiche frequenti, spesso accompagnate da muco e sangue, coliche addominali e sintomi sistemici quali perdita di peso, anoressia e anemia. La severità dei sintomi è in relazione alla severità della malattia. Una volta escluse cause infettive (di solito bacilli della shigella e della salmonella , ameba e schistomiasi) attraverso vari test (anamnesi, coprocultura, esami sierologici), e altre cause quali enteriti e proctiti da terapia radiante, coliti ischemiche, abuso di lassativi e antibiotici, l’attenzione deve essere rivolta verso la m. di Crohn o la RCU. La diagnosi va confermata attraverso l’anamnesi, ricordiamo al proposito che una storia familiare positiva si ha circa nel 10% dei pazienti con m. di Crohn eo RCU, la colonscopia con i relativi prelievi bioptici, le indagini radiografiche fra le quali assumono una importanza straordinaria, oltre al clima del colon, il clisma del tenue che consente lo studio del piccolo intestino. Attualmente questa ultima indagine è affiancata dalla TC , meno invasiva. Le due malattie hanno la caratteristica di essere simili e diverse nello stesso tempo , perché tanti sono gli aspetti che le differenziano. Tra questi i principali sono rappresentati innanzitutto dal fatto che la m. di Crohn può interessare tutto l’intestino dalla bocca all’ano, con frequenze ovviamente molto diverse, mentre la RCU interessa solo il colon ed il retto; che nella prima le lesioni infiammatorie interessano l’intestino a salti, con tratti malati intervallati da tratti sani mentre la RCU si estende in maniera continua verso l’alto a partire dal retto; l’infiammazione nel Crohn può interessare la parete intestinale a tutto spessore, mentre nella RCU è confinata alla mucosa; il retto può essere risparmiato dalla malattia nel Crohn, mentre per definizione è sempre coinvolto dalla malattia nella RCU; l’interessamento anale e perianale ( fistole, ragadi etc) è molto più frequente nella m. di Crohn; in entrambe le malattie, ma soprattutto nella m. di Crohn, possono essere presenti manifestazioni extraintestinali quali poliartropatie, spondiliti, epatite cronica, cirrosi, colangite sclerosante, calcoli della colecisti , pioderma gangrenoso, eritema nodoso, uveiti, episcleriti etc. Altre differenze fondamentali e dirimenti dal punto di vista della diagnosi differenziale si osservano dal punto di vista radiologico e ovviamente istologico, ma bisogna osservare che non sempre gli spetti dell’una o dell’altra malattia sono nettamente distinti. Una volta fatta diagnosi di m.di Crohn o di RCU , va determinata la severità della malattia allo scopo di selezionare il trattamento appropriato. La severità viene individuata dalla analisi dei seguenti parametri: estensione della infiammazione, severità dei sintomi, stato di nutrizione del paziente, presenza di manifestazioni extra intestinali della malattia, anemia , disordini elettrolitici, stato tossico, poca trattabilità e distensione addominale , fistole e ascessi anali. La estensione della infiammazione è determinata dalla endoscopia e dalla radiologia, i sintomi riguardano la frequenza delle defecazioni, l’urgenza defecatoria, perdite di sangue dall’ano e dolore addominale, nonché quelli che indicano disturbi sistemici quali anoressia, perdita di peso, astenia e altri segni di anemizzazione e di malnutrizione. La presenza di sintomi extraintestinali indica una maggiore severità della malattia. Rettocolite ulcerosa e m.0 di Crohn hanno una naturale tendenza alle esacerbazioni e alle remissioni. La frequenza e la severità delle recidive e il grado di disabilità nei pazienti con malattia cronica è quindi un fattore importante nella stadiazione della gravità delle malattie. La severità può essere classificata in lieve, moderata o severa. I pazienti con malattia lieve o moderata possono essere trattati abitualmente con terapia medica domiciliare. Quelli con malattia severa , soprattutto nei casi di esacerbazione acuta, possono richiedere frequenti ricoveri in ospedale e nei casi più gravi necessitano di interventi chirurgici. Le cure mediche richiedono l’utilizzo di farmaci anti infiammatori quali la mesalazina nelle sue molteplici varianti farmacologiche e formulazioni ( compresse, clismi , gel) che servono soprattutto a mantenere ed allungare i periodi di remissione; il cortisone, i più recenti betametasone e la budesonide, più maneggevoli, ed il classico metilprednisolone, nelle fasi acute e nei casi più severi, anche questi in varie formulazioni , compresse, fiale per via parenterale, clismi, schiume , supposte. Nei casi più ostinati, che non rispondono al cortisone o che al contrario di esso non possono fare a meno, si ricorre a farmaci alternativi immunosoppressivi quali azotioprina, mercaptopurina, ciclosporina etc che spesso hanno una buona risposta ma richiedono una attenta e continua sorveglianza del paziente, e che pure essi nel tempo prolungato possono portare a pesanti complicanze come l’insorgenza di linfomi maligni. Negli ultimi anni grandi progressi si sono fatti con l’utilizzo di farmaci biologici anti TNF alfa ( remicade , adalimumab) che vanno a bloccare la cascata della risposta infiammatoria : le buone risposte dei pazienti, sia nella RCU che nel Crohn, fanno sperare per il futuro un maggiore controllo della malattia anche nei casi più severi ed una riduzione dei casi che hanno bisogno dell’intervento chirurgico. La chirurgia occupa tuttavia tuttora un posto importante nel trattamento delle MICI, sia nel Crohn che nella rettocolite ulcerosa. Fra le due malattie, come già accennato, se molti sono i punti di contatto e gli aspetti simili, altrettanto numerose sono le diversità e, anche e soprattutto per il trattamento chirurgico, emerge una profonda differenza che condiziona in maniera fondamentale la condotta dello specialista a seconda che si trovi di fronte all’una o all’altra patologia. Mentre infatti nella RCU la chirurgia può essere determinante per guarire la malattia in maniera definitiva, a patto che l’intervento sia radicale con una ampia e completa exeresi di tutto il colon e del retto ( proctocolectomia totale) nel caso della malattia di Crohn l’atteggiamento del chirurgo deve essere diametralmente opposto, in quanto l’obiettivo è quello di resecare solo il necessario ed in ogni caso risparmiare quanto più possibile di intestino. Il diverso atteggiamento chirurgico scaturisce ovviamente dalle differenti caratteristiche delle due malattie: solo interessamento del colonretto con limite alla valvola ileocecale per la RCU, coinvolgimento di tutto l’intestino dalla bocca all’ano e frequenti recidive della malattia di Crohn. Punto fondamentale dell’intervento è la corretta scelta del tempo dell’intervento. Per tutte e due le malattie esiste infatti il tempo della elezione e quello della emergenza/urgenza. In elezione la decisione è forse paradossalmente più difficile da prendersi ma può essere meditata con più calma e ponderazione. Nel caso della RCU quali saranno infatti i candidati all’intervento in elezione? Innanzitutto è chiaro che parliamo delle forme più severe di malattia, con intensità e varietà di manifestazioni cliniche più accentuate, scadimento delle condizioni generali del paziente, riesacerbazioni frequenti e/o ravvicinate, inefficacia totale o parziale delle varie terapie mediche, dal cortisone agli immunosoppressori, o impossibilità di sospendere forti dosaggi di cortisone. Talvolta ci aiutano a prendere una risoluzione chirurgica le indagini diagnostiche: è chiaro che in presenza di un colon o di un retto stravolto nella sua anatomia con processi infiammatori e cicatriziali diffusi , estesi e profondi con viscere retratto, stenotico, la decisione chirurgica è quali obbligata; non altrimenti si può dire nei casi con sintomatologia severa ma nei quali il coinvolgimento flogistico è meno esteso e/o ha prodotto danni minori: qui la decisione chirurgica sarà più difficile e sarà guidata principalmente dalla mancata risposta alla terapia medica e dalla scadente qualità di vita del paziente. Non ultimo aspetto e forse il più importante nel dettare l’indicazione alla chirurgia in elezione è la potenzialità della RCU alla evoluzione neoplastica maligna. Questa come sappiamo aumenta in maniera esponenziale dopo 10 anni di malattia e non è semplice da monitorare perché insorge come displasia a volte in maniera policentrica in un tessuto spesso profondamente alterato e rimaneggiato dalla malattia nella sua struttura anatomica.

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Diverticoli del colon

La malattia diverticolare del colon è la più comune patologa organica del colon. E’ rara prima dei trenta anni, ma aumenta di frequenza con l’età, tanto che gli ultrasessantenni ne sono afflitti per un terzo. I pazienti maschi prima dei 50 anni sono quelli più a rischio di presentare sintomi importanti e relative complicazioni, che richiedono il trattamento chirurgico nel 50% dei casi. Nei pazienti più anziani la diverticolosi è più diffusa tra le donne ma solo raramente richiede la chirurgia. I diverticoli sono estroflessioni sacciformi simili a tasche della parete del colon, che si formano per debolezza della parete probabilmente congenitamente determinata ma favorita dal progredire dell’età e da aumenti pressori incongrui all’interno del colon dovuti a disordini della motilità. Di solito i diverticoli sono concentrati nel sigma, ma possono interessare il colon discendente o tutto il colon. La semplice presenza delle tasche senza un riscontro sintomatologico importante, si definisce come diverticolosi, mentre l’infiammazione dei diverticoli con le relative complicazioni ed eventuale sintomatologia importante è la diverticolite. I diverticoli si formano fondamentalmente per abnormi aumenti pressori all’interno del colon legati a disordini della motilità a loro volta dovuti ad una dieta incongrua (dieta raffinata e povera di fibre). Fattori concausali importanti sono la perdita di elasticità delle pareti intestinali col progredire dell’età e in parte predisposizioni geneticamente determinate. Spesso la condizione di diverticolosi è assolutamente asintomatica e i diverticoli vengono scoperti casualmente. Altre volte i pazienti presentano dolori addominali di tipo colico, distensione addominale, alternanza di stipsi e diarrea, sintomi sovrapponibili a quelli del colon irritabile. Il dolore di solito interessa i quadranti inferiori e soprattutto il lato sinistro. E’ più forte dopo i pasti e si allevia dopo la defecazione o dopo l’emissione di gas, usualmente è sordo e dura parecchie ore. Ben più severi sono i sintomi quando i diverticoli si infiammano e alla diverticolosi si sostituisce la diverticolite. In questi casi il dolore in fossa iliaca sinistra è più intenso, l’addome diventa poco trattabile, compare febbre con brividi, spesso disuria, chiusura dell’alvo. Nei casi più severi complicazioni quali la perforazione libera o coperta, formazioni di ascessi peri e para diverticolari e fistole con gli organi limitrofi conducono a gravi situazioni peritonitiche e richiedono l’intervento chirurgico immediato o differito. La diverticolosi richiede un trattamento continuativo mirato alla regolarizzazione dei disordini motori attraverso una dieta ricca di fibre e alla prevenzione della infiammazione mediante disinfezioni cicliche con antibiotici di superficie e regolarizzazione della flora batterica con probiotici. In caso di diverticolite senza ulteriore complicazioni ( solo infiammazione dei diverticoli) una congrua terapia antibiotica, la sospensione temporanea della alimentazione, una attenta sorvegliana della evoluzione clinica potranno condurre alla risoluzione dello stato infiammatorio e al ripristino della situazione precedente. In caso di complicanze severe con evoluzione della infiammazione fino alla formazione di ascessi intraperitoneali, perforazione del diverticolo libera in peritoneo o coperta, fistole con organi contigui etc., necessita una pronta ospedalizzazione del paziente, una terapia parenterale di supporto, antibiotici a pieno dosaggio e inevitabilmente l’ intervento chirurgico.

Colon irritabile

 

La sindrome dell’intestino irritabile è il più comune disordine da causa organica sconosciuta che si evidenzia in ambito gastroenterologico. Si tratta di una entità clinica distinta che include un ampio corredo di sintomi senza anomalie precipue all’esame clinico o agli esami diagnostici e senza uno specifico substrato patogenetico. E’ una patologia benigna, ma può arrecare notevole disturbo al paziente alterandone la vita di relazione. Si definisce pure colon spastico e colite mucosa, ma i disordini non solo confinati solamente nel colon e il paziente può presentarsi con sintomi riferibili a qualsiasi parte del tratto gastrointestinale. Il fatto che il paziente spesso mostra ansietà e tensione e può essere depresso induce a ritenere importante fra le cause e le concause di un colon irritabile una azione diretta degli stimoli emotivi sull’aumento della motilità intestinale con esagerazione e distorsione della normale attività motoria del colon che si presenta con onde incoordinate. Secondo i criteri di Roma III , il paziente presenta una sindrome dell’intestino irritabile quando lamenta dolore o fastidio addominale ricorrente , sintomo precipuo della malattia, associato ad almeno due delle condizioni seguenti:

– coesiste una alterazione della frequenza dell’alvo

– coesiste una alterazione della consistenza delle feci

Altro aspetto significativo è la attenuazione o la o scomparsa del dolore con la defecazione. La diagnosi di sindrome da intestino irritabile si pone solo quando si possono escludere alterazioni anatomiche ( defecazione ostruita da prolasso rettale mucoso interno, intussuscezione, rettocele, stenosi organica etc), alterazioni del metabolismo ( iper o ipotiroidismo, iperparatiroidismo ), intolleranza alimentare ( glutine, lattosio etc), malattie infiammatorie intestinali ( m. di Crohn, RCU, colite indeterminata), neoplasie ( cancro del colonretto, carcinoidi, ) pseudo ostruzione intestinale, intolleranza alimentare al glutine, al lattosio o ad altre sostanze. La patogenesi è tuttora sconosciuta e probabilmente più fattori concomitanti ne possono essere responsabili: predisposizione genetica, fattori infiammatori (colite microscopica), ipersensibilità viscerale, alterazione del controllo neuro immunoendocrino, fattori legati al profilo psicologico del paziente. Il sintomo principale è il dolore scatenato spesso dai pasti e alleviato invece dalla defecazione o dalla emissione di gas intestinali. Fastidioso senso di tensione e di distensione addominale si associano al dolore. I paziente con sindrome dell’intestino irritabile si classificano in quattro gruppi:

a) Sindrome dell’intestino irritabile con prevalenza di stipsi (dolore addominale + stipsi)

I pazienti di questo gruppo lamentano l’emissione di feci dure o caprine in una percentuale superiore al 25% delle defecazioni, meno di tre evacuazioni per settimana , sforzi durante la defecazione, senso di svuotamento incompleto al termine della defecazione. Abituale il ricorso ai lassativi.

b) Sindrome dell’intestino irritabile con prevalenza di diarrea (dolore addominale + diarrea)

Le feci sono molli in una percentuale superiore al 25% delle defecazioni. più di tre defecazioni al giorno con urgenza defecatoria, spesso incontinenza e presenza di muco nelle feci.

c) Sindrome dell’intestino irritabile con alvo alterno (dolore addominale + alvo alterno)

d) Sindrome dell’intestino irritabile non classificata in cui non è chiara una prevalenza dell’uno o dell’altro sintomo (stipsi o diarrea)

La diagnosi di sindrome da intestino irritabile viene posta presuntivamente quando i sintomi sopra descritti durano da almeno sei mesi. All’esame clinico del paziente è possibile rilevare una corda coli ( contrattura colica e dolore in fossa iliaca sinistra )e meteorismo. Utili procedure diagnostiche per la diagnosi differenziale sono rappresentate da un esame emocromo, VES e proteina C reattiva, sideremia, sangue occulto nelle feci, in caso di sanguinamento franco dall’ano visita proctologica e/o colonscopia, in caso di diarrea anticorpi anti endomisio e antigliadina ( per escludere la celiachia), dosaggio TSH (ipertiroidismo o ipotiroidismo) , in caso di prevalenza di stipsi dosaggio TSH ( ipotiroidismo) , dosaggio paratormone ( iperparatiroidismo) , glicemia (diabete), defecografia, tempi di transito intestinali. In caso di dolori pelvici dubbi , ecografia e visita specialistica ginecologica.

TERAPIA.

Per il controllo del dolore sono a disposizione vari tipi di spasmolitici:

-Ottilonio bromuro

-Pinaverio bromuro

-Cimetropio bromuro

-Mebeverina

-Trimebutina

Conviene utilizzare quello a cui il paziente risponde meglio e/o alternare i farmaci fra loro.

Il meteorismo può essere combattuto con disinfettanti intestinali e prebiotici che regolarizzano la flora batterica intestinale. In caso di diarrea ridurre il carico alimentare di fibre e alimenti ricchi di fruttosio e sorbitolo. Eventualmente nei casi più severi loperamide. In caso di stipsi lassativi tollerabili a base di macrogol o polietilenglicole. Nei casi più ostinati e difficili da trattare è utile l’utilizzazione di ansiolitici e /o di antidepressivi, ma per la piena accettazione da parte del paziente di questo tipo di farmaci il rapporto fiduciario medico-paziente deve essere ottimale.

Rettocele

Il rettocele è una protrusione sacciforme e localizzata della parete rettale più evidente durante il ponzamento e in misura estrema, nella fase evacuativa. I rettoceli anteriori (della parete anteriore del retto e posteriore della vagina) sono quasi esclusivi delle donne e vengono classificati in base alla loro posizione anatomica in alti, spesso associati alla perdita del sostegno del corpo uterino e al prolasso genitale, medi (più frequenti), legati all’indebolimento della fascia rettovaginale secondo i ginecologici, conseguenza di un disordine del meccanismo della defecazione secondo i proctologi, bassi, dovuti a traumi ostetrici.

I rettoceli di piccoli dimensioni (< 3 cm) sono considerati normali ( sono presenti in oltre l’80% delle donne) ; quelli più ampi vengono considerati patologici, soprattutto se presentano ristagno di mezzo di contrasto alla fine della fase evacuativa. I rapporti fra rettocele e difficoltà nella evacuazione sono bidirezionali: il rettocele può formarsi in conseguenza di disturbi funzionali quali la dissinergia del puborettale o per meccanismi di compenso nella difficoltà evacuativa legata ad altre cause quali un retto ridondante e tendente alla intussuscezione, ma certamente, una volta determinatesi, un rettocele di grosse dimensioni può a sua volta essere esso stesso ad ostacolare la defecazione provocando una dispersione delle forze evacuative in senso orizzontale. In ogni caso non sempre c’e correlazione fra dimensione del rettocele e defecazione ostruita: anche in presenza di grossi rettoceli da defecazione può avvenire senza ostacoli.

Condilomi anali

I condilomi acuminati sono molto frequenti e sono causati dalla variante antigenica del papilloma virus che è responsabile delle verruche cutanee. La trasmissione avviene per contatto diretto ed in oltre il 50% dei casi si tratta di pazienti omosessuali. I pazienti a volte se ne accorgono direttamente palpandoli, altre volte si rivolgono al medico per irritazione, prurito e perdite umide riguardanti la regione anale. Qualche volta sono presenti tracce di sangue sulla carta igienica. I condilomi possono essere solo di qualche millimetro ma possono raggiungere anche 1- 2 cm di diametro e avere notevole diffusione confluendo spesso tra loro. Possono interessare anche le grandi labbra, lo scroto o la regione inguinale e nel 50% dei casi il canale anale e addirittura il retto nel 10%. Sono condizioni di premalignità e nel 2% dei casi è possibile riscontrare un carcinoma franco a cellule squamose. Il trattamento prevede applicazioni locali di pedofillina o iniezione diretta di agenti citotossici come la bleomicina, ma quando i condilomi sono numerosi e confluenti ed interessano in profondità il canale anale si rende necessaria la distruzione o la escissione chirugica a causa della potente azione irritante e dermolesiva della podofillina. Circa il 60% dei pazienti vengono tratta con escissione chirurgica in unico stage, mentre un ulteriore 30% necessita di un secondo intervento per la radicalizzazione. Tre o più trattamenti sono richiesti nel restante 10%.

Ostruita defecazione

Che la stipsi rappresenti una delle patologie più diffuse dei paesi occidentali è opinione comune: dal 5% al 30 % della popolazione, a seconda delle casistiche, soffre in qualche modo di stitichezza e consuma quantità “industriali” di lassativi di ogni tipo (1) . Queste cifre sono ancora più consistenti se si fa riferimento solo al sesso femminile (rapporto 10:1 con i maschi) o all’età avanzata (45% degli over 65 lamentano il disturbo in maniera più importante ed il 63% fa uso abitualmente di lassativi ) (2). Più frequentemente la stipsi è secondaria a varie cause, di tipo endocrino, neurologico, metabolico, iatrogeno, degenerativo, organico, etc., e la risoluzione del problema sta in un corretto iter diagnostico e nella eliminazione, se possibile, della causa originaria. Ben più impegnativo, soprattutto nei casi più severi, può essere il trattamento della stipsi che non riconosce cause evidenti , che viene pertanto definita stipsi funzionale idiopatica. La percezione del sintomo della costipazione è variabile: se per lungo tempo la stitichezza è stata valutata soprattutto in termini di frequenza delle defecazioni, oggi altri sintomi sono ritenuti egualmente importanti quali l’emissione di feci troppo piccole o troppo dure, gli sforzi alla defecazione prolungati o ripetuti con senso di ripienezza rettale, una sensazione di evacuazione incompleta e/o la necessità di assistenza manuale. I parametri clinici degli esperti ( Criteri di Roma II) definiscono la stipsi funzionale idiopatica ” sforzo prolungato > 25% delle defecazioni, feci dure o caprine in > 25% delle defecazioni, e/o due o meno evacuazioni spontanee per settimana” ma un qualcosa di simile , dettato dal buon senso, si può trovare in un comune vocabolario di lingua inglese: “ ….a condition of the bowel in which the faeces are dry and hard and evacuation is difficult and infrequent “(3). Una tale definizione, con la sua semplicità, riconduce la stipsi a due soli tipi fondamentali: la stipsi da rallentato transito e la stipsi defecazione ostruita. Nel primo caso una inefficace peristalsi non riesce a far progredire il contenuto intestinale nel colon offrendo un tempo esagerato alla degradazione batterica a all’assorbimento di acqua e sali , così riducendo in maniera drammatica il passaggio delle feci e la frequenza delle defecazioni; nel secondo caso il problema sta nella difficoltà dei pazienti ad espellere le feci a causa di una alterazione strutturale e/o funzionale della regione anorettale o del pavimento pelvico. La stipsi da ostruita defecazione o SDO( 4 – 5)può riconoscere dunque come causa una vera e propria ostruzione meccanica come un prolasso mucoso interno o una intussuscezione rettoanale, che determinano un ostacolo ostruttivo al passaggio delle feci fisicamente evidente ( ostruita defecazione di tipo meccanico strutturale ); oppure è una disfunzione del pavimento pelvico a costituire una ostruzione funzionale altrimenti definita come anismo o dischezia contrazione paradossa del puborettale (ostruita defecazione da dissinergia del pavimento pelvico).

E ancora un voluminoso rettocele anteriore ( > 3cm), che se da un lato può essere forse effetto di una dissinergia pelvica , o forse una sorta di meccanismo di compenso quando il retto è troppo mobile, dall’altro finisce poi per costituire esso stesso causa di defecazione ostruita determinando una dispersione in senso orizzontale delle forze pressorie che spingono il bolo fecale fuori dal canale anale (ostruita defecazione da dispersione del vettore forza).

Infine altre volte entra in gioco una alterazione della sensibilità e/o della compliance rettale nel senso che una riduzione della sensazione di riempimento conduce a una mancata percezione dello stimolo e un aumento della compliance rettale riduce l’efficacia degli sforzi pressori alla defecazione. ( ostruita defecazione da diminuita sensibilità alla distensione).

E’di importanza fondamentale rilevare , ai fini di una diagnosi corretta e soprattutto per la scelta di un corretto trattamento, che spesso i vari tipi di defecazione ostruita coesistono , embricandosi fra loro in maniera variabile . Lassità del pavimento pelvico e delle strutture di sostegno del canale anale e del retto, inappropriata ed insufficiente pressione intrarettale durante la fase espulsiva, mancato od incompleto rilasciamento dei muscoli lisci e/o striati del pavimento pelvico e degli sfinteri anali, sensibilità rettoanale incompleta o assenza di stimolo, sono tutte componenti che governano il delicato equilibrio della defecazione , e la alterazione , anche parziale di una sola o di poche componenti, basta a compromettere la regolarità e l’efficienza della intera funzione defecatoria.A complicare ulteriormente le cose non bisogna trascurare il ruolo decisivo che hanno, a volte , le turbe della personalità, i disturbi psicologici e le malattie mentali.

Alla luce di quanto accennato , non è dunque sempre facile in ogni singolo caso inquadrare il paziente nella sua tipologia di disturbo della defecazione , che può variare parecchio da soggetto a soggetto sia in termini di gravità che in quelli di causalità e concausalità. Ma una attenta selezione di ciascun singolo paziente con defecazione ostruita è indispensabile se si vuole trattare la patologia in maniera soddisfacente, ritagliando il tipo di trattamento più appropriato caso per caso. Ecco perché diventa indispensabile sottoporre i pazienti affetti da sindrome da defecazione ostruita ad un iter diagnostico rigoroso che passa attraverso una anamnesi minuziosa, una classificazione secondo gli score più conosciuti, un eventuale profilo psico attitudinale, un utilizzo di esami strumentali indispensabili quali la manometria rettoanale, la EMG pelvica, la ecografia endoanorettale, la defecografia, la risonanza magnetica.

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