Ascessi e fistole perianali

Gli ascessi e le fistole anorettali sono due fasi della stessa malattia.

La maggior parte degli ascessi perianali secondo la teoria di Parks origina all’interno dello spazio intersfinterico del canale anale dalla infezione di una ghiandola anale che è in comunicazione con il lume del canale anale tramite il suo dotto. Dalla sede originaria il pus si fa strada verso la regione perianale ove trova il suo sbocco o spontaneamente o grazie ad un drenaggio chirurgico. Nella maggior parte dei casi il processo settico si cronicizza assumento l’aspetto di una fistola. Questa, che nella sua forma schematica si può configurare come un tunnel con pareti infette con un orefizio interno , di solito corrispondente ad una cripta del canale anale, ed un orefizio esterno sulla cute perianale da cui fuoriesce ad intermittenza uno scolo purulento, può assumere configurazioni più o meno complesse a seconda del suo percorso che viene condizionato e determinato dalla presenza dei muscoli sfinteriali e del pavimento pelvico. A tal proposito ho sempre presente in mente il ricordo delle magistrali lezioni del St. Marks Hospital ove la potenziale complessità di un tragitto fistoloso perianale veniva paragonata alla intricata rete della metropolitana londinese. Proprio il coinvolgimento degli sfinteri anali , fondamentali per la continenza fecale, rende difficile e delicato il trattamento delle fistole perianali. Se infatti da un lato, se si vuole ottenere una guarigione completa e definitiva di una fistola perianale, l’intervento chirurgico deve rispondere al principio universale in caso di raccolte purulente di ottenere un drenaggio quanto più ampio possibile (lay open), dall’altro è imperativo rispettare l’integrità anatomica degli apparati di contenzione. Gli interventi per fistole perianali richiedono pertanto spesso trattamenti prolungati, anche in più tempi, mediante l’ausilio di tecniche particolari che provvedono a sezioni lentissime delle componenti muscolari del tramite fistoloso ( metodo del setone) e andrebbero eseguite da chirurghi dedicati come i colonproctologi.

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Prolasso rettale

 Nella descrizione e nella classificazione dei prolassi del retto ci rifacciamo ad uno dei più recenti consensus raggiunto al 3° World Congress of Coloproctology and Pelvic Diseases (Roma 21-23 giugno 2009) il cui principio informatore è quello di una concezione unitaria fra prolassi interni ed esterni, semplici e complessi, comprendente fra i prolassi del retto anche quello emorroidario. Secondo tale concezione i prolassi rettali vengono suddivisi innanzitutto in prolasso rettale interno o occulto, prolasso rettale esterno o procidente, prolasso retto anale o emorroidario. Le cause di un prolasso del retto sono fondamentalmente due: una debolezza del pavimento pelvico e delle strutture anatomiche di sostegno ai visceri che lo oltrepassano; una eccessiva mobilità del retto. La debolezza del pavimento pelvico può essere legata ad una neuropatia e/o ad una progressiva degenerazione delle componenti elastiche e fibrose dei tessuti legate al progredire dell’età e probabilmente favorite da stretching ripetuti dei muscoli e dei nervi pelvici per i parti o incrementate in una sorta di circolo vizioso in caso di stipsi ostinata e severa con eccessivi e ripetuti sforzi alla defecazione. La anomala mobilità del retto può essere legata a una eccessiva profondità dello sfondato del Douglas con un sigma ed un retto ridondanti. La combinazione della debolezza del pavimento pelvico e della esagerata mobilità del retto possono portare al prolasso rettale nelle sue varie forme sopra descritte attraverso un meccanismo di scivolamento o di intussuscezione o di entrambi. Il prolasso rettale interno, di semplice mucosa o completo con intussuscezione, lo troviamo come causa determinante della sindrome da defecazione ostruita, ove i pazienti lamentano una sorta di tappo che impedisce loro di espellere le feci, senso di peso perineale, sensazione di incompleta defecazione. Nelle fasi iniziali il prolasso interno o la intussuscezione possono essere dei meccanismi di compenso che aiutano allo svuotamento di un retto troppo mobile e ridondante, insieme al rettocele che spesso ad essi si associa, ma nella maggior parte dei casi finiscono per essere essi stessi causa della sindrome ostruttiva. Le tecniche chirurgiche di resezione con stapler del prolasso interno esuberante, STARR (resezione rettorettale con doppia stapler o prolassectomia con transtarr Contour), hanno proprio lo scopo di disostruire il retto migliorando o eliminando del tutto la sindrome ostruttiva.  Nel contempo le stesse tecniche consentono una plastica di rinforzo della parete anteriore del retto , eliminando il rettocele che cusava dispersione delle linee di forza anteriormente invece che verso il basso. Comprendendo nel capitolo unificato dei prolassi anche quello dell’anoderma con il relativo pacchetto emorroidari, secondo l’intuizione di Antonio Longo, il trattamento più razionale della patologia emorroidaria non è più la exeresi dei pacchetti emorroidari prolassati, bensì la loro riposizione nella posizione naturale attraverso una rettoanopessia che realizza una sorta di lifting endoanale. Questa è la rettoanopessi, altrimenti definita come prolassectomia sec. Longo, oggi il trattamento sicuramente più richiesto dai pazienti per l’assenza quasi completa di sintomatologia dolorosa nel post operatorio. Altro capitolo è quello dei prolassi esterni propriamente detti, solo mucosi o completi, che riconoscono le stesse cause fondamentali di tutti i prolassi rettali ma che si esprimono con sintomatologie precipue. I sintomi sono spesso eclatanti: il retto prolassato si evidenzia discendendo per un tratto più o meno lungo all’esterno dell’ano durante e dopo la defecazione per poi ridursi spontaneamente o con l’aiuto manuale del paziente. Nei casi più severi la discesa del prolasso si verifica nella stazione eretta prolungata o durante il cammino. La mucosa rettale all’esterno produce muco e sangue e più del 50 % dei pazienti è incontinente. Il trattamento nei prolassi veri consta di numerosissime tecniche, a testimonianza del fatto che, ahimè, le recidive sono la costante di questa patologia e non esiste un trattamento sicuramente risolutivo. Si può tuttavia distinguere tra i pazienti giovani e quelli decisamente più anziani. Nel primo gruppo gli interventi mirano a durare nel tempo e vengono realizzati anche a scapito di una certa indaginosità o pericolosità. Si tratta per lo più di interventi che mirano alla sospensione/fissazione del retto prolassato a strutture fisse all’interno dell’addome come le varie tecniche di fissazione del retto al promontorio del sacro con o meno l’ausilio di protesi ( rettopessi sacrale anteriore di Wells, posteriore di Ripstein, anterolaterale di Orr-Loygg, la più recente rettopessi ventrale etc) in open o in laparoscopia, o a ridurre la lunghezza del viscere ridondante ( resezione anteriore del retto e sigmoidectomia ) che però da tanti vengono considerate inefficaci e spropositate per la benignità della patologia. Nei pazienti più anziani si preferisce un approccio per via perineale, meno rischioso ma per contro molto più esposto a recidive, come la vecchia Delorme ( mucosectomia e plicatura della parete rettale ) o la resezione rettosigmoidea perineale o intervento di Altmeier che a tanti anni di distanza dal suo esordio (1951) sta ottenendo oggi un nuovo credito e una larga diffusione perchè realizzabile più rapidamente con l’ausilio della nuova tecnologia ( PPH, CCS30, HEA, ultracision ) che ne hanno fatto allargare le indicazioni anche nei pazienti più giovani soprattutto se completata dalla plastica degli elevatori che ne garantirebbe una netta riduzione delle recidive. Grazie alla diffusione delle stapler una nuova proposta è rappresentata dalla tecnica definita PSP ( Perineal Stapled Prolapse) che nei prolassi esterni di minori dimensioni sia per lunghezza che per spessore delle pareti può recare il prolasso molto più semplicemente rispetto alla Altemeier mediante l’applicazione della tecnica scomposta già utilizzata come modifica della Transtarr e senza ricorrere alla apertura del peritoneo del Douglas.

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polipo

Polipo Fibroso

Nasce da una papilla della linea dentata del canale anale. assume una forma peduncolata e può essere anche molto lungo tanto da protrudere dall’orefizio anale durante la defecazione.

La lesione è formata da tessuto fibroso coperto da epitelio squamoso.

L’eziologia è sconosciuta ma la lesione è spesso associata alla ragade cronica o alle emorroidi.

Può essere asintomatica , con riscontro nel corso di esami anorettali per motivi diversi, oppure il paziente si lamenta del prolasso di un qualcosa dall’ano che si riduce solamente con manovre manuali.

Il trattamento è solo chirurgico e consiste nella sua exeresi sotto anestesia , perchè l’origine è dalla parte cutanea del canale anale, riccamente dotata di terminazioni nervose sensoriali.

Ragade Anale

Quasi tutti i pazienti hanno dolore e sanguinamento.
Il dolore , da moderato a insopportabile, si risveglia di solito con la defecazione e può durare fino a qualche ora. Il sanguinamento è di solito modesto ed il paziente trova tracce di sangue di colore rosso vivo sulla carta igienica.
L’andamento della patologia è spesso intermittente con l’alternarsi di periodi di crisi e periodi di relativo benessere.
La diagnosi differenziale, relativamente semplice alla ispezione se non è presente eccessiva contrattura sfinteriale, va fatta con le varici perianali trombosate e gli ascessi perianali per quanto riguarda il sintomo dolore, con le emorroidi, le proctiti e le neoplasie basse per quanto riguarda il sanguinamento. Attenzione va pure posta nei riguardi di ulcerazioni perianali presenti nella malattia di Crohn o in caso di ulcere cancro anali o ulcere veneree.
Il trattamento si basa su quella che la attuale interpretazione fisiopatologica: per ottenere la guarigione della ragade occorre interrompere il circolo vizioso descritto in precedenza.
Lo si può ottenere con terapia medica utilizzando con continuità per almeno un mese applicazioni locali sullo sfintere anale di sostanze miorilassanti come la nifedipina o la trinitroglicerina: lo scopo è quello di abolire la contrattura sfinteriale e permettere quindi una migliore irrorazione sanguigna della ragade tale da permetterne la cicatrizzazione.
In realtà la terapia medica ha successo solo nelle ragadi recenti. Tuttavia secondo noi va tentata in tutti i casi prima di pensare ad un intervento chirurgico. Va da se che la terapia medica con miorilassanti lo sfintere anale per essere efficace necessita di un alvo regolare con feci morbide: necessario quindi spesso l’uso concomitante di integratori a base di fibre e/o di lassativi o lubrificanti.
L’intervento chirurgico è indicato quando la terapia medica fallisce e la sintomatologia dolorosa che tormenta il paziente alterandone la qualità di vita non rimette o recidiva dopo poco tempo da una guarigione fittizia. Deve essere lo stesso paziente a volerla fortemente scegliendo fra il permanere di uno stato di estrema sofferenza per il dolore insopportabile provocato dalla defecazione o l’immediato sollievo anche a costo di modesti disturbi della continenza.
L’atto chirurgico si basa sullo stesso principio di interrompere il circolo vizioso e consiste in una vera sfinterotomia regolata dello sfintere interno ( Sfinterotomia interna laterale sinistra).
Il sollievo dal dolore è immediato nel 98% dei pazienti, la guarigione definitiva con cicatrizzazione della ferita chirurgica avviene in 4-6 settimane, la ragade si rimargina spontaneamente.
Qualche volta il paziente accusa transitoriamente modesta perdita di muco sporco di feci (soiling) che di solito dura qualche settimana .
Non siamo favorevoli al trattamento mediante divulsione anale per la grossolanità dell’intervento ed il rischio concreto di incontinenza, nè tantomeno alle dilatazioni anali con appositi dilatatori per la frequenza elevata di recidive.

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emorroidi1

Emorroidi

Le emorroidi sono costituite da vasi sanguigni, tessuto connettivo e muscolatura liscia strutturati in modo da formare dei veri e propri cuscinetti che si trovano all’interno del canale anale e contribuiscono alla normale continenza. Le emorroidi diventano patologiche quando aumentano di volume e questo può avvenire per lo scivolamento verso il basso oltre la linea dentata e per la congestione vascolare. Entrambi i fattori si possono verificare assieme ad esempio durante gli sforzi della defecazione . Il deterioramento dei tessuti di sostegno del plesso emorroidario con l’età è un fattore importante nel favorire lo scivolamento verso il basso del plesso. Un ritorno venoso può essere ostacolato da un tumore occupante spazio nella pelvi come può essere per esempio un utero gravidico, con conseguente aumento della congestione vascolare. Le emorroidi cosiddette esterne si trovano all’altezza del margine anale e sono formate da vasi sanguigni che formano un plesso venoso sottocutaneo. Le due componenti ,esterne ed interne, sono in comunicazione vascolare tra loro ed anche il plesso esterno può risentire degli stessi fattori etiopatogenetici nel determinismo di uno stato patologico.
I sintomi più comuni della malattia emorroidaria sono rappresentati dl sanguinamento, dal prolasso con fastidioso ano umido e prurito, dalle fasi acute cosiddette di “crisi emorroidarie”.
Il sanguinamento di solito è di colore rosso vivo ed è separato dalle feci, e spesso si manifesta come gocciolamento nel vater immediatamente dopo la defecazione. Raramente tuttavia il sangue si presenta scuro nei casi in cui è stato trattenuto nel retto per molto tempo. Il sanguinamento può accompagnare tutti gli stadi della patologia emorroidaria: anche nel caso in cui non prolassano, rimanendo stabilmente all’interno del canale anale (I° grado) le emorroidi possono manifestarsi col sanguinamento sia per la loro cogestione e fragilità della parete , sia per la loro apertura spontanea dopo trombosi.
Il prolasso del plesso emorroidario interno indica uno stadio più avanzato della malattia emorroidaria e la sua severità può essere un parametro per giudicare della durata della patologia. Il prolasso può verificarsi solo al momento della defecazione con riduzione spontanea nel canale anale al termine della stessa ( II grado) o con mediante opportune manovre manuali del paziente (III grado). Nei casi più gravi il prolasso è permanente (IV grado). Il prolasso viene spesso confuso dal paziente con tumefazioni perianali causate dalle componenti emorroidali esterne o da marische (vedi capitolo apposito).
Il disagio è il sintomo prevalente nel prolasso: il paziente riferisce un senso costante di ripienezza nel perineo e lo stimolo continuo alla defecazione. Il prolasso inoltre causa spesso perdita di muco che attraverso una macerazione della cute perianale determina prurito. Se c’è dolore in assenza di un evento acuto quale puù essere lo strangolamento o la tromdosi acuta (crisi emorroidaria) questo va riferito piuttosto alla coesistenza di ragade, ascesso e trombosi di varice perianale. I sintomi della patologia emorroidaria vanno e vengono con esacerbazioni e remissioni spontanee. In particolare il sanguinamento può verificarsi con episodi che possono avere la durata di settimane. mesi ed anni. La frequenza e la sopportabilità dei sintomi, ed il loro andamento ciclico, sono fattori fondamentali nella scelta del trattamento.
Le emorroidi possono essere diagnosticate con l’esame ispettivo con il paziente a riposo se permanentemente prolassate e a volte sotto ponzamento. L’esame anoproctoscopico è dirimente per la diagnosi. Spesso è associato un prolasso interno della mucosa rettale che riempie completamente il lume dell’anoscopio o addirittura una intussuscezione rettoanale (vedi defecazione ostruita). La diagnosi differenziale più importante da tenere sempre in mente è quella con il carcinoma colorettale. Pazienti di età superiore ai 50 anni (o 40 anni in caso di familiarità per la malattia) che denunciano un sanguinamento per via anale di qualunque tipo vanno sempre indirizzati all’esame colonscopico anche in presenza di evidente patologia emorrodaria.

Trattamento.
La patologia emorroidaria con il suo andamento spesso ciclico che contempla lunghe fasi di remissione, può essere ben gestita dal paziente attento ad una condotta igienico alimentare congrua che eviti l’uso e l’abuso di cibi irritanti per il colon in generale e per l’ano in particolare e nel contempo regolarizzi l’alvo con emissione di feci morbide (dieta ricca di fibre e acqua). Utili ,ma solo saltuariamente e per brevi periodi, i preparati a base di diosmina, flavonoidi ect e l’ampia gamma di creme e pomate antiemorroidarie.
In caso di emorroidi sanguinanti con prolasso assente o modesto esiste attualmente una ampia gamma di possibilità interventistiche di tipo ambulatoriale o semi ambulatoriale.
Utili potrebbero essere le vecchie legature elastiche , presidio che è possibile realizzare in un semplice ambulatorio, però il paziente deve essere ben consapevole che anche questo trattamento è valido solo per le emorroidi iniziali, non è scevro da complicanze e che in ogni caso è puramente palliativo necessitando di controlli e nuovi trattamenti ogni 1 o 2 anni. Stesso discorso per la terapia sclerosante.
Da proscrivere ,secondo il nostro parere, la metodica della crioterapia , in voga negli anni ottanta, possibile in ambulatorio ma con un postoperatorio assai doloroso e con frequentissime recidive.
Recente è l’introduzione della tecnica HAL doppler che coniuga la legatura degli affluenti arteriosi dei plessi emorroidari ,individuati con l’ausilio del doppler, al fissaggio alla parete del prolasso con punti manuali. Secondo il nostro avviso tale tecnica trova la sua maggiore utilità ed efficacia nei casi precoci ( emorroidi di I /II grado) come per le legature elastiche.
Altre tecniche più o meno recenti quali la coagulazione con infrarossi, l’utilizzo del laser o della radiofrequenza nella emorroidectomia, sempre a nostro avviso, non aggiungono vantaggi tali da giustificarne gli alti costi.
Tra le tecniche tradizionali resta sempre valida la sempre verde emorroidectomia sec Milligan e Morgan. Il principio è quello di una rimozione dei plessi emorroidari dilatati, previa legatura e sezione dei peduncolo vascolari, rispettando per quanto possibile la anatomia della regione e soprattutto lasciando in sito tra una ferita chirurgica e l’altra dei ponti cutaneo mucosi, la cui integrità è indispensabile per evitare cicatrici retraenti e mantenere per quanto possibile la sensibilità della regione.
Centinaia di migliaia di pazienti sono stati operati con questa tecnica con buoni risultati, superando però un periodo di convalescenza non tutto rose e fiori per quanto riguarda dolori e fastidi dopo le defecazioni, per quanto non mai superiore alle due-tre settimane e, tranne complicanze, controllabile con i comuni analgesici.
Una vera rivoluzione nel trattamento è stata quella portata dalla tecnica di Longo , ideata negli anni novanta e diffusasi in maniera esponenziale nel primo decennio del nuovo secolo.
Partendo dalla dimostrazione di Thompson (1975) che le emorroidi sono dei plessi venosi funzionanti come veri e propri cuscinetti anali, che nella loro classica posizione alle ore tre, sette e undici nel canale anale, riempiendosi o svuotandosi di sangue contribuiscono alla chiusura dell’orefizio anale, per trattenere aria e muco, Longo si è fatto sostenitore della idea che la terapia exeretica dei gavoccioli emorroidari , benchè efficace per la risoluzione dei sintomi correlati alla malattia emorroidaria, è un presidio innaturale perchè va ad eliminare componenti importanti della fisiologia della continenza anale e per di più toglie sensibilità discriminatoria al contenuto fecale e/o ai gas sacrificando porzioni più o meno estese di anoderma, senza parlare del rischio di stenosi per la retrazione cicatriziale conseguente alla exeresi di ampie quantità di tessuto del canale anale.
Più logico invece , secondo Longo, visto che alla base della sintomatologia c’è un prolasso dei cuscinetti emorroidari verso il basso, riporre e fissare quest’ultimi nella corretta posizione anatomica, riconsegnandoli alla loro funzione di continenza , attraverso un intervento di rettoanopessi , eseguibile per via transanale per mezzo di suturatrice meccanica dedicata. I cuscinetti emorroidari, una volta riposizionati stabilmente nella loro posizione anatomica abituale, ritornerebbero alleloro dimensioni fisiologiche, eliminando quei sintomi come il sanguinamento ed il prolasso stesso che li avevano reso patologici. L’ablazione del cilindro mucoso rettale attraverso cui si rende possibile la rettoanopessi avviene inoltre in una zone priva di terminazioni nervose e ciò ha reso il postoperatorio dei pazienti quasi completamente esente da dolore, principale e determinante fattore ad aver fatto la rapida fortuna della tecnica di Longo.

Prolasso emorroidario trombosato ( crisi emorroidaria)
Un prolasso emorroidario può restare intrappolato nello sfintere anale, e a causa di ciò diventare duro e irriducibile con trombosi sia dei plessi interni che di quelli esterni che, nei casi più gravi, può portare fino alla gangrena. L’evento è di solito scatenato da un attacco di diarrea o uno sforzo eccessivo alla defecazione , ed il paziente accusa dolore e senso di peso insopportabile all’ano, mentre le emorroidi all’esterno dell’ano aumentano di volume in maniera spropositata, vanno incontro ad edema , ulcerazione e gagrena.
La storia naturale prevede una risoluzione lenta con riduzione dei sintomi dolorosi e dell’edema infiammatorio in circa otto- dieci giorni, mentre l’assorbimento del fenomeno trombotico è molto più lento. Alcune misure come il riposo a letto, l’utilizzo di pomate antiinfiammatorie , analgesici e di lassativi, accelerano relativamente il decorso dell’attacco. Più incisivo l’utilizzo di preparati a base di calcieparina. Nella fase acuta è sconsigliabile l’emorroidectomia , da riservare praticamente solo ai casi con evoluzione in gangrena.

Varici perianali trombosate
Succede con relativa frequenza che le varici perianali si trombizzino conla formazione di coaguli all’intervo dei plessi venosi sottocutanei. Di solito la trombosi interessa una singola zona del margine anale. Il paziente lamenta un rapido aumento di volume di un plesso venoso dell’ano, di solito dopo uno sforzo defecatorio, che diventa duro ed estremamente dolente. Il colorito è bluastro.
Come la trombosi delle emorroidi prolassate, il dolore nelle varici perianali trombosate si risolve spontaneamente nell’arco di 3-4 giorni, fino a sparire completamente dopo 10 giorni. Il rigonfiamento si riduce in poche settimane fino a residuare un piccolo nodulo fibroso. Anche in questa patologia si può utilizzare la calcieparina per accelerare la risoluzione del trombo.
In certi casi, quando la sintomatologia è piuttosto eclatante, si può intervenire d’urgenza incidendo il trombo e svuotandolo oppure procedendo ad una sua vera e propria exeresi in anestesia locale.

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